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GAZA: UN POPOLO IN FUGA

2009-01-14

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CORRIERE della SERA

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2009-01-14

Tra le vittime di Gaza: il sangue e le accuse

Viaggio nella Striscia arrivando dall'Egitto. I racconti nell'ospedale: "Colpiti soprattutto i civili"

Due ragazze ferite nei bombardamenti su Gaza (Ap)

Due ragazze ferite nei bombardamenti su Gaza (Ap)

YUNIS (Striscia di Gaza) — Entriamo verso le 14.00 con il bus egiziano scalcagnato dal posto di frontiera a Rafah. C'è un'atmosfera tesissima, Israele per tutta la mattina ha bombardato i tunnel lungo il confine. I caccia nel cielo, il fischio, lo scoppio, profondo, terrificante. Alcune bombe sono cadute poche decine di metri da qui, infrangendo parte delle vetrate al terminal egiziano. Sul bus siamo in due. L'altro passeggero è un dottore palestinese che rientra a casa. Dall'altra parte, in "Hamasland", non ci sono sentinelle armate, solo un paio di uomini barbuti con vestiti bruni impolverati che parlano al walkie talkie.

Per lasciare il terminal ci si muove in ambulanza: tutti, indistintamente. Le strade sono vuote. Solo tre vecchie Mercedes lungo i quattro chilometri che portano all'ospedale europeo nella zona palestinese di Rafah. Qui è la regione dei tunnel, la più colpita dagli israeliani. Chi può se ne sta ben lontano. Molte case sono abbandonate, alcuni capannoni sono chiusi, serrati. Si notano invece molti carretti tirati da muli, non utilizzano benzina (ora costa un dollaro e mezzo al litro, il triplo di un mese fa). La maggioranza dei negozi è chiusa, ma dicono che qui le scuole sono aperte di mattina e a ogni tregua i contadini tornano a lavorare nei campi, anche quelli più a rischio.

L'entrata all'ospedale è accompagnata dal grido corale " shahìd, shahìd " (martire). Sono due barelle arrossate di sangue e sopra due morti. Uomini, giovani, il cervello che cola dalla testa. Alcune donne vestite di nero, il volto scoperto, invocano Allah, piangono. Quando vedono un giornalista occidentale inveiscono contro Israele e i suoi "crimini nazisti". Seguono alcuni feriti, almeno sei. Uno è scosso da tremiti continui. Anche lui ferito alla testa. Il volto è irriconoscibile, il naso aperto, gli occhi sbarrati.

Oggi Israele ha colpito duro i villaggi della zona sud orientale, quelli che guardano al deserto del Negev. Risuonano continuamente i nomi di due località: Abasan e Kuza, rispettivamente 25.000 e 16.000 abitanti. "Praticamente tutte le vittime gravi delle ultime ventiquattro ore vengono da quei due villaggi. Il nostro ospedale manda i casi più difficili all'ospedale più importante, il "Nasser" di Khan Yunis ", spiega Kamal Mussa, direttore amministrativo dell'istituto. Qui regna il caos. I guardiani lasciano entrare tutti al pronto soccorso. I medici appaiono professionali, molti di loro hanno studiato all'estero, al Cairo, ma anche in Italia, Francia e negli Stati Uniti. Non mancano medicinali, né macchinari. Pure la folla è troppa, il pronto soccorso ne è sommerso. "Gli israeliani non hanno umanità, sparano nel mucchio, non distinguono tra soldati e civili, mirano ai bambini, sparano sulle case", gridano i membri dei clan tribali più colpiti, i Qodeh e Argelah.

Un dato sembra evidente, almeno per il sud di Gaza: non c'è malnutrizione. Nonostante l'aumento dei prezzi, la mancanza di alcuni generi alimentari, il blocco dei movimenti, a Gaza nessuno muore di fame. "La situazione è molto peggiore nei grandi campi profughi più a nord, come quello di Jabaliah. Ma qui nel sud il cibo non manca", dice Saber Sarafandi, dottore internista di 30 anni. Lui e il suo collega infermiere, Mohammad Lafi, appena tornato da un lungo corso di perfezionamento negli Stati Uniti, a New Orleans, sono evidentemente dei moderati. Hanno ben poco da spartire con la cultura della guerra santa e del fondamentalismo islamico propagandata da Hamas. Anzi, guardano con un certo fastidio ai ragazzi dalla barba lunga e l'uniforme nera che si muovono nell'atrio dell'accettazione. Eppure di un fatto sono convinti: "E' vero che Hamas ha rotto la tregua e ha fatto precipitare l'inizio dei combattimenti il 27 dicembre. Ma Israele ci stava prendendo per il collo, non avevano alternativa. I fatti gravi non sono neppure tanto gli omicidi mirati, perpetrati da Israele anche ai tempi della tregua. Sono piuttosto il sigillare Gaza come una grande prigione. La scelta di Hamas è stata tra l'essere uccisi a fuoco lento, oppure velocemente nella guerra. E hanno giustamente scelto lo scontro subito, un grido al mondo. E così facendo sta catturando le simpatie della popolazione. Hamas è oggi più forte che mai tra la nostra gente".

Alle sette di sera cala il buio. Non c'è illuminazione pubblica. Le finestre delle abitazioni sono serrate. E' allora che un'ambulanza nuova fiammante, appena arrivata dall'Egitto, offre un passaggio per l'ospedale centrale di Khan Yunis. Il viaggio nella notte più nera prende meno di venti minuti. Le strade sono semivuote, ma comunque più popolate del pomeriggio. Si vedono soprattutto giovani uomini, apparentemente disarmati. Per un secondo il mezzo si ferma a raccogliere un medico che porta con sé un bambino di quattro giorni. Vicino c'è una botteguccia che vende bombole di gas da cucina. "Sono diventate una rarità — spiega Amal, l'ambulanziere —. Prima costavano 35 shequel israeliani, adesso superano i 400". Così ci si industria a cercare legna da ardere per cucinare sul pavimento.

Il "Nasser" è presidiato da centinaia di ragazzi. Tanti perdono tempo, si sentono importanti a contare i morti. Tanti altri sono però palesemente militanti di Hamas, che guardano con un misto di sospetto e curiosità ogni occidentale che entra. E' il direttore amministrativo del "Nasser", We'am Fares, a fornire nel dettaglio le cifre della guerra. Sul muro dietro la sua scrivania c'è la foto di Yasser Arafat e frasi del Corano incorniciate. Tutti i 350 letti dell'ospedale sono occupati. "Solo oggi abbiamo ricevuto 12 morti e 48 feriti di età comprese tra i 13 e 75 anni. Dal 27 dicembre i morti da noi sono stati 680, i feriti curati 183, tra tutti almeno il 35 per cento sono bambini minori di 14 anni ".

Appare invece difficilissimo trovare risposte certe all'uso delle bombe al fosforo. Gli israeliani le hanno utilizzate o no, è possibile vedere qualche ferito? "Certo che le hanno usate, contro tutte le convenzioni internazionali. Qui a Khan Yunis abbiamo contato almeno 18 feriti e 7 morti", dicono all'unisono medici e infermieri. C'è un problema però: "Non si possono vedere. Tutti i feriti da armi al fosforo sono già stati trasferiti all'estero, specie in Egitto e Qatar". Resta vago anche Christophe Oberlin, un chirurgo di Parigi arrivato 3 giorni fa per conto del governo francese: "Io personalmente non ne ho visti di feriti da fosforo e non so se potrei davvero distinguerli dagli altri feriti, non sono un medico di guerra". Però di un fatto è sicuro: "Gli israeliani dicono che solo il 30 per cento delle vittime palestinesi sono civili. Questa è una palese menzogna, sono pronto a testimoniarlo davanti a qualsiasi tribunale internazionale. È vero il contrario: almeno l'80 per cento delle vittime sono bambini, anche piccolissimi, donne, anziani. Qui si sta sparando contro la società civile senza porsi troppi problemi. E le ferite che ho visto sono orribili. Moltissimi dei pazienti muoiono sotto i ferri". Verso le dieci di sera arrivano altre ambulanze cariche di feriti. Una scena carica di dolore, alleviata solo dal grande sorriso di Asma, una bambina di 10 anni ferita al torace, ma che parla veloce, quasi allegra e promette che da grande andrà all'università.

Lorenzo Cremonesi

14 gennaio 2009

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2009-01-14

Esodo di migliaia di famiglie verso Nord, a piedi e sui carretti trainati da asini

Ora a fianco di Hamas combatte anche la fazione armata di Fatah

Un popolo in trappola tra le rovine

ma i miliziani non si arrendono

di SAFA JOUDEH

Un popolo in trappola tra le rovine ma i miliziani non si arrendono

GAZA - Il diciottesimo giorno della guerra è il Giorno del Giudizio per Rafah. Sotto le ondate continue dei caccia F-15 e F-16, la città di frontiera con l'Egitto è per oltre la metà polverizzata: gli edifici sono lastre di cemento accatastate su se stesse.

Colonne di migliaia di famiglie si muovono verso Nord, incalzate dai bombardamenti e da piogge di volantini israeliani con l'avvertimento di evacuare. Nonni, padri, mamme, bambini, appesantiti dai fagotti avanzano a piedi o su carretti trainati dagli asini: le strade, squarciate dai bombardamenti, sono inagibili alle automobili ridotte a scheletri di lamiere annerite scagliate in alto dalle esplosioni o ritorte in surreali sculture. Altri, le masse respinte dai rifugi improvvisati in queste ore dall'Unrwa e già traboccanti, campeggiano all'aperto con lavatrici, tavole da stiro, giocattoli, quel che hanno recuperato dalle macerie.

Riaffiora lo scenario di devastazione della guerra del Libano del 2006, con una variante. Che la popolazione civile, stretta su un dito di dune sabbiose sigillato alle frontiere, non ha via di scampo. Come un'idra dalle migliaia di teste, la moltitudine umana oscilla ora in una direzione ora nell'altra, nella speranza di schivare i tiri da terra, dal cielo e quelli inevitabilmente imprecisi dal mare.

L'offensiva terrestre s'è rallentata. Difficile capire, dietro la cortina fumosa alzata dalla propaganda di entrambe le parti, che cosa davvero l'abbia frenata: se le divergenze all'intero del governo israeliano riferite dai media, o il fuoco di fila delle fazioni palestinesi.

Israele dipinge una resistenza allo sbando, costretta a nascondersi nei sotterranei. Il braccio armato di Hamas, dal canto suo, comunica un'imboscata ai danni della fanteria: 10 soldati israeliani caduti in una trappola allestita in un edificio evacuato, armato di esplosivi detonati a distanza. Non ci sono finora conferme indipendenti. Quel che è certo è che i combattimenti infuriano nella periferia di Gaza City, a Sheikh Ajlin, a Karama, mentre Zeitun è ormai irraggiungibile. Al fuoco dei blindati israeliani si mescolano le esplosionoi delle armi leggere dei miliziani, che si sono riuniti in un fronte unito mettendo in comune i rispettivi arsenali, e al bando le differenze politiche.

Al fianco di Hamas adesso combatte anche la fazione armata di Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen.

A giudicare dall'intensità dei colpi incrociati da oltre ventiquattr'ore, la Difesa israeliana ha forse sottovalutato la capacità delle forze di resistenza palestinesi di tutte le fazioni. La breve avanzata delle forze d'Israele durante la notte, si è conclusa all'alba con un ritiro sulle postazioni iniziali. Hamas e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina continuano a opporre riserve all'iniziativa egiziana tesa a fermare le violenze. Questa avrebbe fornito un'utile via d'uscita, se i miliziani fossero alle corde.

Dopo l'annuncio della terza fase dell'Operazione Piombo fuso, la Striscia di Gaza è stata tagliata a metà, con una presenza sempre più massiccia nelle zone di confine. I soccorsi non riescono a passare. Alla radio rimbalza dal mattino l'appello di una squadra di operatori sanitari finita sotto il tiro della fanteria israeliana nei sobborghi di Gaza City. Dovevano evacuare dei feriti nella zona più colpita, ma i tiri non permettono loro né di avanzare né di retrocedere. Al telefono cellulare chiedono a loro volta di essere soccorsi, e avvisano che le batterie dei telefoni si stanno scaricando.

Non è chiaro se l'invasione su larga scala promessa dalle autorità dello Stato ebraico si materializzerà. L'interrogativo in queste ore è se l'esitazione derivi dal timore di coinvolgere i soldati in un confronto diretto con i combattenti palestinesi. Per tutto questo Gaza continua a vivere sospesa nel limbo: fra le minacce ogni ora annunciate, e l'avanzata delle forze sul terreno, attesa all'orizzonte.

(14 gennaio 2009)

 

 

L'UNITA'

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2009-01-14

 

Gaza, nuovi tiri di razzi dal Libano

L’emergenza umanitaria a Gaza è ormai sotto gli occhi del mondo. La popolazione è stretta in una trappola mortale dall’esercito israeliano. Non può scappare, non può arrendersi, non può essere soccorsa. Un’altra notte è passata tra colpi di razzi, lanciarazzi e spari di mitraglia mentre i bombardamenti aerei notturni hanno colpito una sessantina di obiettivi tra commissariati di polizia nella città di Gaza, siti di lancio di missili, nove depositi di armi e 35 tunnel: almeno secondo quanto dichiarato dall’esercito.

Il 19° giorno di guerra inizia senza ancora un conto aggiornato dei morti, che il giorno precedente già ammontavano però a 70 nella sola giornata di ieri e quindi 975 dal 27 dicembre con oltre 4.400 feriti, secondo l'ultimo bilancio del capo dei servizi di urgenza a Gaza, Mouawiya Hassanein.

Mercoledì mattina da segnalare c’è una ripresa di lanci di razzi dal Libano meridionale (qui sotto la foto di una manifestazione per il boicottaggio a Beirut ieri), al di là della linea di confine protetta dai militari della missione Unifil. Tre razzi sono stati lanciati al di là della rete e si tratta del terzo lancio. Gli altri due episodi erano avvenuti l'8 gennaio scorso e Tel Aviv ne aveva attribuito la responsabilità a formazioni estremistiche palestinesi attive in Libano, e non alle milizie sciite libanesi di Hezbollah, che a loro volta avevano già negato qualsiasi coinvolgimento.

Intanto il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak martedì sera ha parlato al telefono con Robert Gates, segretario di Stato alla Difesa americano uscente e già confermato in carica anche per l'Amministrazione Obama. Lo ha messo al corrente dello stato di avanzamento dell’operazione "Piombo fuso". Barack giovedì è stato annunciato al Cairo, dove è atteso il suo incontro con il mediatore egiziano Omar Suleiman che conduce i negoziati per arrivare al cessate il fuoco.

Il piano franco-egiziano che si basa sul controllo della frontiera di Rafah con l’Egitto e l’eliminazione del commercio e dei rifornimenti di armi attraverso i tunnel segreti, è sostenuto ora anche da una missione del mediatore del Quartetto per il Medio Oriente Tony Blair e da una contemporanea missione del segretario dell’Onu Ban Ki Moon sostenuta dal Consiglio delle Nazioni Unite.

Mentre Blair proviene dall’Egitto e si trova a Washington, Ban Ki Moon da New York è volato al Cairo dove oggi vedràil presidente Hosni Mubarak – che ieri era in Arabia Saudita a trovare il suo partner re Abdullah bin Abdel Aziz - per proseguire poi in Giordania e Israele, a Ramallah, in Turchia,in Siria, in Libano e in Kuwait, dove parteciperà al vertice della Lega Araba lunedì prossimo. Si tratta, ha detto, di sforzi congiunti per arrivare alla tregua. E Blair ha detto che "le prossime 48-72 ore saranno cruciali".

L'accordo di cui si discute al Cairo si impernia "sulla fiducia da parte di Israele che non ci sarà più contrabbando di armi e razzi" che Hamas usa contro cittadini israeliani, mentre Hamas "sarà rassicurato della riapertura dei varchi per consentire a Gaza di essere di nuovo collegata al resto del mondo".

Al Cairo da giorni c’è una delegazione di cinque persone rappresentanti di Hamas. Non hanno detto no alle profferte egiziane per arrivare alla tregua ma valutano piuttosto vaghi gli impegni di ritiro delle truppe occupanti dalla Striscia di Gaza e sul futuro dell’area.

Ieri un accorato appello al cessate il fuoco è venuto dal direttore delle operazioni a Gaza dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifiugiati palestinesi Unrwa, John Ging "poco importa se si tratta di una tregua formale o informale", ha detto Ging. È "un test della nostra umanità", ha insistito in un collegamento telefonico da Gaza con la stampa internazionale di Ginevra. Negli ospedali la situazione è drammatica: il tipo di ferite è orribile, ha dett